Il nuovo blues da Londra in esclusiva italiana per il San Severino Blues Winter. L'intervista a Alex Haynes

5' di lettura 02/02/2015 - Una delle migliori voci blues del Regno Unito. Chitarrista e cantante, Alex Haynes, dai pub inglesi del nord, dove suonava blues acustico e folk, ha sviluppato a Londra il proprio stile con la chitarra slide, un suono sporco e rock, una semplicità esecutiva che cattura ipnoticamente e sorprende per l’originalità.

Si esibirà al SSB Club venerdì 6 febbraio alle ore 21.00 (Tolentino Hotel 77 Sala Vaccaj): cena+concerto 25€ prenotazione obbligatoria tel. 0733 967400.

Ad un primo ascolto, ogni paragone con Caleb Followill dei primi Kings of Leon non è completamente fuori dalle righe, sebbene il suo sound sia in qualche maniera più vicino allo spirito di Seasick Steve e Black Keys, o al blues tradizionale di John Lee Hooker e R.L.Burnside, fino al suono più duro del rhythm&blues e rock&roll dei Rolling Stones e del provocatorio Captain Beefheart. All’ep di debutto Last Train sono seguiti Nobody Come to Call e The House Rent Boogie live in session, concerti in Olanda, Austria, Belgio, Svizzera, Russia, in prestigiose location londinesi come Astoria e Barbican e una session alla BBC Radio. Jungle Kid è il nuovo singolo uscito ad aprile 2014, incluso nel nuovissimo album Bandit Blues Motel.

1) La tua musica è molto originale, il tuo blues molto personale: quanto deve la tua ispirazione al British Rock Blues e quanto deve all’American Delta Blues?
Sin dai nove anni mi ha interessato il rock‘n’roll di Little Richard, Chuck Berry, Buddy Holly, Jerry Lee Lewis, poco dopo ho iniziato ad ascoltare Beatles, Stones e Bob Dylan dai vinili dei miei genitori. Dopo un paio d’anni comincio ad ascoltare blues: John Lee Hooker è stato uno dei primi. Vedere BB King dal vivo mi ha impressionato molto. Così presto arrivo a Howlin’ Wolf, Bo Diddley, Elmore James, Muddy Waters e molta musica Chicago anni 50’. In adolescenza ero un buon conoscitore del british blues, da Peter Green dell’era Fleetwood Mac ai due album di John Mayall con Mick Taylor. È stato un periodo d’oro della musica, col brit blues ci furono grandi musicisti e album, ma lo considero come un prolungamento del rock degli anni 60’. Nel blues americano, dal country blues al folk e rockabilly, diverse generazioni di musicisti hanno portato arricchimento. C’è un’intera tradizione tracciabile dai primi anni del XX° secolo fino agli anni 60’, ricomparsa negli anni 90’ con gruppi come Jon Spencer Blues Explosion, White Stripes, Black Keys e Seasick Steve. La mia ispirazione è ad ampio raggio, dalle registrazioni di Lomax a Robert Johnson, Howlin’ Wolf, fino ai White Stripes e i Black Diamond Heavies. Un’influenza abbastanza contaminata e ampia. Un altro importante aspetto per me è il groove e l’ipnotismo che ne deriva, come fanno Fred McDowell, Jessie Mae Hemphill, John Lee Hooker e RL Burnside. Ho preso molto anche dal gospel, specialmente in senso vocale: il Reverendo Charlie Jackson è il mio preferito.

2) Dall’ep di debutto “Last Train” del 2011 al recente nuovo album “Bandit Blues Motel” è cambiato qualcosa nella tua musica e nei tuoi live?
Sì, abbastanza penso. Da quando sono nati i Fever nel 2006 ho avuto quattro distinte formazioni, cinque ora con la band italiana di cui fanno parte Pablo Leoni e Alessandro Diaferio. Nelle prime tre ho sempre suonato la chitarra acustica. Nel 2010 ho scritto e registrato ciò che è divenuto “Last Train”, dove, a parte due brani, suono tutti gli strumenti con l’aiuto del mio pianista Richard Coulson. In due tracce, ‘Shake ‘em On Down’ e ‘Crawl No More’, ho cominciato a suonare la chitarra elettrica, gettando i semi del mio passaggio all’elettrica. Dal 2012 io e Richard abbiamo sviluppato la formula del duo con me alla chitarra elettrica e al tamburello e lui alle tastiere e batteria. Così ‘Bandit Blues Motel’ è un lavoro scritto e registrato con uno spirito più elettrico. Ho mantenuto tutto abbastanza minimale: una batteria basica, una piccola percussione, una chitarra e un piano. Il basso lo suoniamo sia io alla chitarra sia Richard al piano. Negli ultimi due anni ho suonato anche da solo, continuando a usare l’elettrica e il tamburello, e questo è certamente un enorme cambiamento nel mio spettacolo live. Rende il sound più duro, più insistente, più ipnotico. Si accentua il groove offrendo una grande versatilità che con la chitarra classica era limitata, l’elettrica ha più dinamica e maggiore possibilità di enfasi. Lo stile country di alcuni brani di ‘Last Train’, connaturato alla sonorità della chitarra classica, al momento non mi appartiene più.

3) Sei considerato una delle migliori voci del blues britannico attuale. Il pubblico italiano ha cominciato a conoscerti da poco, in un recente tour nella prima parte di gennaio. Che accoglienza hai ricevuto e quali impressioni ti sei fatto del nostro pubblico?
È stato fantastico! Penso sia stato forse uno dei migliori che abbia mai incontrato, disposto ad un ascolto vero e profondo alla musica. Ho avuto un’esperienza simile solo a Mosca. Credo che il pubblico italiano fosse cosciente di ascoltare un qualcosa che non si ha la possibilità di ascoltare tutti i giorni, il che è meraviglioso. È stata davvero un’esperienza positiva.


   

da San Severino Blues Winter




Questa è un'intervista pubblicata il 02-02-2015 alle 15:20 sul giornale del 03 febbraio 2015 - 754 letture

In questo articolo si parla di spettacoli, tolentino, intervista, San Severino Blues Winter

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