Quarto libro di poesie per l'esanatogliese Fabio Strinati

Fabio Strinati 5' di lettura 13/04/2017 - Quarto libro per Fabio Strinati (nella foto), giovane poeta di Esanatoglia che continua a sorprendere con la sua scrittura.

"Al di sopra di un uomo" è la quarta produzione dello scrittore e per farvi entrare nel mondo di Strinati useremo le note di lettura di Cinzia Demi. "Incrociare la scrittura di Fabio Strinati sulla mia strada è stato davvero come avere un’illuminazione - scrive la Demi - Strinati è una macchina da guerra della poesia. Una fonte inesauribile di energia, immagini, suoni, sensi. Tutto ciò che tocca, che pensa, che vede si trasforma in poesia. Lo percepisci da come (e da quanto) scrive. La poesia vive e si plasma dentro di lui, quasi in maniera naturale, senza sforzo… A volte, lo slancio è talmente violento che sembra non esserci nessuna connessione fra la casualità dei suoi incipit e il continuare liberamente, senza condizionamenti, verso il cuore del testo e il volgere a un finale che spesso sconcerta."

"Il suo scrivere - prosegue - è un dipingere naif (Ora il giorno nasce con longanimità/e una caparra come la luce a risplendere,/sopra la nostra nuca/e rinnovellata poi,/più verace e con sfoggio la semenza,/sarà gratuita una capanna,); un suonare jazz a braccio (Sfavilla e sprizza l’acqua dalla roccia martire,/da una tinozza il vino di tintore/e non di quel colore che anche una borraccia,/tutto incolore ed inodore il prosternarsi.), un cogliere dalla natura, ma anche dalla storia, dalla mitologia, dai vangeli tutto quanto possa aggregarsi in versi, ritornare a ricrearsi col ritmo incalzante delle rime, delle assonanze, inspiegabilmente senza metrica ma con logica precisione, in un incedere dove tutto alla fine si tiene. Non saprei dire se ciò che ne viene fuori è un lavoro di senso compiuto, né se l’autore usa arti consapevoli di mestiere (ma si ha l’impressione di un dono naturale più che di una ricerca, e non lo dico in senso dispregiativo, in quanto è davvero una dote rara: viene in mente, nella pittura, Ligabue, tanto per fare un esempio). So per certo, tuttavia, che testo dopo testo ci si rende conto di entrare in una poetica del fantastico e del visionario, quasi del surreale, ovvero in una realtà che è più scissa che reale, e che i riferimenti o le citazioni servono solo ad orientare dove vira la poppa il timoniere-poeta, che non fa uso di una mappa, ma naviga a vista, fissando un punto lontano sull’orizzonte che è – o potrebbe essere – l’approdo, la visione della dimensione del divino. Viene in mente, in alcuni lacerti, la poetica di Willam Blake laddove nei suoi scritti, da lui stesso definiti "libri profetici", vediamo come le sue visioni siano state più reali della realtà stessa, oltre che richiamare il pensiero neoplatonico (Swedenborg, Böhme), e la Bibbia. Blake pensa che l'unico modo per poter ricomporre una realtà scissa è far uso dell'immaginazione, e che l'eccesso è collegato all'energia, quindi al corpo, opposto all'anima collegata alla ragione: i due elementi compongono l’uomo e ne formano la visione, quindi, è ancora l'immaginazione che permette di andare fuori dal proprio io per toccare il divino. La trasformazione dell’uomo avviene tramite l'immaginazione creatrice, cioè l'arte, che riconduce l'uomo verso una dimensione superiore."

"E Strinati è immerso nell’arte fino al midollo: quella poetica e quella musicale, formano un tutt’uno con il suo essere - scrive ancora Cinzia Demi - Ma, Strinati, in altri passaggi ricorda anche un nostro grande poeta, definito dai critici “il poeta visionario per eccellenza”: Dino Campana, nella cui poesia i valori classici e una grande modernità si compenetrano. In Campana vi è modernità e vi sono richiami a D’Annunzio, a Leopardi e ai classici, con uno stile pieno ed ermetico e un flusso continuo di parole, del quale non si riesce a cogliere facilmente il senso. Come pensiamo di Strinati: il suo linguaggio poetico sconvolge l’ordine sintattico in vari modi, anche mescolando contesti, vocaboli, epoche, personaggi, sentimenti. Il risultato è, come già anticipato, sorprendente. Si tratta di uno scrivere difficile, di incerta comprensione, di mancanza spesso di linearità e chiarezza. Non alla portata di tutti. Forma e contenuto a volte non connettono neanche tra loro, si ha l’impressione di trovarsi in una Torre di Babele poetica. Eppure, scavando a fondo in certi ritornelli rimati, osservando bene gli accostamenti tematici con le parole, magari desuete, scoprendo gli abbinamenti di sacro e profano, non si può non rimanere colpiti dagli azzardi di questo autore e apprezzarne la consuetudine all’uso. Dove porterà questo incedere così nebuloso, eppure chiarissimo, questa miscellanea di contenuti legati dal live motive della visione a tratti mistica dei testi, questo afflato così inusuale nella contemporaneità, a cui fanno eccezione, come detto i poeti visionari (potremmo citarne altri)? Non resta che aspettare perché, ne siamo certi, la scrittura di Strinati è in continua evoluzione, lo dimostrano i passaggi dai due libri editi a questo nuovo lavoro. E, anche se non crediamo che si tratti di un poeta in cerca di stile, in quanto il suo si consolida abbastanza evidentemente in queste tre opere, è altrettanto vero che l’approccio ha bisogno di misurarsi ancora con letture di autori novecenteschi, con poetiche e stili magari meno ermetici, ha bisogno di smussare angoli e aprirsi di più al quotidiano, senza rinunciare a volare alto che questa, in fondo, è la dote che più gli appartiene."






Questo è un articolo pubblicato il 13-04-2017 alle 11:11 sul giornale del 14 aprile 2017 - 854 letture

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